Francesco Maddalena, nato nel 1905, purtroppo è deceduto presso la struttura per l’assistenza agli anziani “Casa Serena” il 1 luglio del 1998 all’età di 93 anni, per cui non è stato possibile raccogliere la testimonianza di una vita che ha attraversato quasi un secolo di storia, densa di avvenimenti ed episodi che ne hanno evidenziato l’onore, tanto da fargli ottenere un importante riconoscimento: la medaglia d’argento. Possiamo solo ripercorrere quell’articolo tratto dal libro della Sezione A.N.A di Pordenone '' Noi alpini cinquant'anni di  vita, 1925-1975 ''.

Più volte Maddalena ha dato prova del suo coraggio, di lui si ricorda in particolare una delle sue imprese, quando si trovava alla testa di una banda di Dubat e attraversando un ponte parzialmente interrotto sul fiume in piena andò avanti, incurante del violento fuoco dei ribelli che volevano interdire il passaggio dell'intera unità da cui era stato staccato. E’ stato un ufficiale che si è distinto per valore personale ed è stato proposto più volte al valore militare zona di Gore, 2 luglio 1941. Questo grande esploratore ha finito il suo viaggio, come una quercia stroncata sotto il peso degli anni: era un’abile alpinista e instancabile viaggiatore, con lui scompare un prezioso frammento della Pordenone di ieri e un po' di quella sete ardente di avventura che tormenta gli spiriti nomadi di ogni tempo e paese. Nato e cresciuto in un' antica casa dello storico borgo di Piazza Ospedale Vecchio, divenuto accademico del Club alpino italiano "Checchi" dal 1932, quella sete di esplorare se la portava dietro fin dagli anni della giovinezza, quando, fresco di diploma di ragioneria, scelse di andare a lavorare in Etiopia. Arruolatosi volontario allo scoppio della seconda guerra mondiale guidò, come ufficiale degli alpini, un plotone di ascari e ottenne in seguito una medaglia d'argento al valor militare per aver respinto con decisione e coraggio un attacco nemico. Ma non sfuggì alla prigionia inglese e rimase per sei anni in un campo di concentramento in Kenia con altri suoi. Fu forse in quel periodo della sua vita che il demone dell'avventura s'impossessò di lui e quando ormai quarantenne, nel 1946, rientrò a Pordenone, non era, né poteva più essere, l'uomo di un tempo. Dagli anni Cinquanta fu infaticabile compagno di avventure di molti pordenonesi nei Paesi più remoti e irraggiungibili del globo: “Egli è stato una sorta di pioniere per tutti i globe-trotters della zona - racconta un suo fedele compagno di viaggi, Vincenzo La Conca – facendo anche da apripista nei più affascinanti itinerari dell'agenzia Avventure nel mondo”. Tra le sue imprese memorabili, La Conca ricorda l'attraversamento del deserto del Gobi, all'età di 81 anni, e qualche anno prima un impegnativo trekking in Tibet: “Andò anche in cerca delle tribù dei cacciatori Boscimani nel deserto del Kalahari - prosegue il viaggiatore pordenonese - percorse il tratto da Mosca a Vladivostok lungo la ferrovia Transiberiana. In Turchia arrivò a bordo di una vecchia Seicento dopo un’epica traversata attraverso i Carpazi, mentre andò a festeggiare il suo settantottesimo compleanno in un angolo remoto del Pacifico, nell’isola di Pasqua”. Era estroso e un po' bizzarro, bonario e al tempo stesso misantropo, resistente alle fatiche, amico di tutti eppure insofferente ad ogni legame e per questo sempre indomito e solo, fino agli ultimi anni della sua vita. Così molti concittadini ricordano Maddalena e così lo ricordano anche gli amici del CAI di Pordenone, che trovò in lui un simbolo e un punto di riferimento insostituibile per generazioni di escursionisti, giovani e meno giovani. Infaticabile organizzatore di gite e arrampicate, compagno di cordata del grande alpinista Raffaele Carlesso, Maddalena esplorò a lungo con lui le nostre montagne prima della guerra "scoprendo"gli itinerari più suggestivi della Val Cellina e del gruppo del Cavallo, ripercorrendo vie alpinistiche ormai classiche sulle Dolomiti e sulle alpi Carniche e Giulie. Delle sue imprese purtroppo ci ha lasciato ben pochi documenti: qualche diapositiva e qualche foto sbiadita dimenticata nella sede del CAI. Viaggiava non per collezionare ricordi e trofei, ma per appagare sé stesso e la sua sete di vivere: è questa l'unica preziosa eredità che di lui ci è rimasta.


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